GUIDA: Quando
pellegrini e viaggiatori di ogni tempo giungevano nella Città Eterna la prima
cosa che vedevano spuntare dal verde dei prati era il Castello, imponente mole
posta a difesa della Tomba di Pietro e dell’importante passaggio che
congiungeva la Roma popolare con quella Sacra: il Ponte Elio, che noi
comunemente conosciamo come ponte S. Angelo. Castello e Ponte: l’uno non è
concepibile senza l’altro ed entrambi sono stati testimoni involontari e
simboli stessi del passare del tempo e delle epoche. (salendo)
Tomba, castello, fortezza, carcere? È difficile definirlo ... E’ stato
chiamato Mole Adrianea, Turris Teodorici, Torre dei Crescenzi, Castello degli
Orsini e soprattutto Castrum Sancti Angeli. L’immaginazione popolare lo ha
vissuto con intensità, come tutti i luoghi dalla grande potenza evocativa.
Sorge in un luogo sacro, l’Ager Vaticanus, e il nome sembra da riferire a “vaticinium”:
forse un luogo di responsi oracolari. (in
alto) Forse è per questo che Adriano lo scelse per erigere la sua tomba.
Volle far costruire un monumento che conservasse le sue ceneri ma che al tempo
stesso tramandasse la sua visione dell’universo e i suoi ideali. Fa costruire
un basamento quadrato, vi fa inscrivere un cilindro, ovvero un cerchio, e sul
cerchio pone una base quadrata con una tòlos, un cilindro, un cerchio. Cerchio
e quadrato: queste figure simboleggiano l’Uno e il Molteplice, la Divinità e
il creato, lo spirito e la materia, l’anima e il corpo, che per Adriano
dialogano tra loro in un meraviglioso equilibrio armonico. Famosi i suoi versi
“animula, vagula, blandula, hospes comesque corporis” “piccola anima,
ospite e compagna del corpo”. (ponte) Adriano
non riconoscerebbe più la sua tomba, per quanto è stata trasformata nei secoli
e nell’uso… Fino dal tempo dell’invasione dei Goti divenne una fortezza.
Furono eretti possenti bastioni sulla base quadrata, e all’interno tra il
quadrato e il cilindro, si creò un fossato. La fortezza e passò nelle mani
delle più potenti famiglie romane, come i Crescenzi o gli Orsini, e il possesso
(entrando) del castello fu una delle
condizioni fondamentali dettate dal papa per il suo ritorno da Avignone a Roma,
il 20 settembre 1367. E sempre un 20 settembre, ma del 1870, 500 anni più
tardi, Castel S. Angelo torna ad essere il simbolo della Roma laica e del
novello stato italiano, con la Repubblica Romana. (su botola) Per trasformare la tomba di Adriano in una fortezza
imprendibile, ne fu sconvolta l’architettura circolare. Anche le volute della
rampa elicoidale che portavano alla sala delle urne furono tagliate
diametralmente. E fortezza imprendibile, lo diventò davvero. Immaginiamo un
ipotetico esercito di assaltatori che volessero prendere, per via di terra –e
solo così era possibile in passato- Castel S.Angelo. Il primo ostacolo: il
recinto quadrangolare imponente: quasi 90 m. di lato per 12 m. di altezza.
Poniamo che l’avessero superato, avrebbero subito incontrato tra il quadrato e
il cerchio, il fossato. Noi
l’abbiamo superato per mezzo di un ponte, e all’epoca ci sarebbe stato un
ponte levatoio, ovviamente alzato in occasione della minaccia nemica. Ma
supponiamo che gli assaltatori fossero riusciti ad arrivare fin qui: si
sarebbero trovati sulla cosiddetta “cordonata” fortificata. Dietro quella
porta, dove probabilmente un tempo riposavano le ceneri di Adriano, ci sarebbe
stata invece la guarnigione di difesa del castello e dalle aperture ai lati
avrebbe riversato ferro e fuoco sugli assaltatori. E supponiamo che qualcuno di
loro fosse rimasto miracolosamente invulnerato: sarebbe comunque precipitato in
un pauroso strapiombo situato circa a metà della cordonata. Qui. Dove sarebbero andati a finire i malcapitati?... Da quella
parte, andiamo a vedere...
No. Forse è meglio continuare da questa parte.
E comunque ho idea che le voci e la presenza di coloro che nel bene e nel
male qui hanno dimorato ci terranno compagnia... Forse ci tracceranno addirittura
il sentiero...
(compare
Adriano, il gruppo lo segue salendo)
LORENZA
Sì, sì, voglio confessare tutto. Voglio salvare la mia anima, ché lui
me l’ha dannata.
CARDINALE
Siete proprio decisa, non ho tempo da perdere con donne come voi
LORENZA
Si, voglio confessare tutto. M’ha rovinato, quel porco!
CARDINALE
Ditemi tutto.
LORENZA
Sì. Volete sapere chi è veramente il conte Cagliostro? Nessuno può
saperlo meglio di me. Non si chiama Cagliostro e non è certo un conte. Il suo
vero nome è Giuseppe Balsamo. E’ nato da una famiglia miserabile, a Palermo,
altro che conte… E’ nato ladro : l’hanno cacciato di casa perché rubava.
E poi ha continuato : truffatore, falsario. Lui me l’ha raccontate queste
cose, se ne vantava… Si faceva passare per nobile, per filosofo, per
grand’uomo, ti guardava con quegli occhi… ti prometteva il mondo intero…
Per questo l’ho sposato. Mi ha ingannata.
CAGLIOSTRO Cagna! Cagna! Lurida puttana! Mi hai tradito… Io ti ho sempre amato… Ho fatto di te una contessa, una donna ricca, rispettata, invidiata da tutti. Ho diviso ogni mio avere, ogni mia sapienza, ogni mia gloria con te. Puttana. Io non sono di nessuna epoca ne’ di nessun luogo, sono al di fuori del tempo e dello spazio, IO DIVENTO COLUI CHE DESIDERO.
(seconda parte: cortile dell'angelo)
CAGLIOSTRO
Tutti gli uomini sono miei fratelli. Io sono libero
LORENZA
Aveva in odio i re e il Papa. L’ho sentito con le mie orecchie
bestemmiare il Signore. Complottava con i suoi fratelli massoni per distruggere
l’ordine di Dio. Li ho sentiti : congiuravano contro la società per sete di
ricchezza e di potere. Lui quello voleva, il potere. Dovevate vedere quante
donne si prostravano ai suoi piedi. Lui prometteva e loro… .
CAGLIOSTRO
Sono nato dallo spirito. Il mio nome
quello che scelsi per apparire in mezzo a voi, ecco, quello reclamo. IO
SONO CAGLIOSTRO. Sono nato in Oriente prima del diluvio universale, ho
conosciuto Mosè e Salomone, sono stato discepolo dei faraoni, sono stato
allievo di Socrate, ho cenato con Gesù Cristo alle nozze di Cana e ho tentato
inutilmente di strapparlo dalle mani degli apostoli, un branco di straccioni
piantagrane. Ho resuscitato i morti e guarito i malati più gravi, ho restituito
l’udito ai sordi, la vista ai ciechi, la parola ai muti, la giovinezza ai
vecchi. Dicono di me che io sia un
uomo straordinario, un profeta, un messia.
LORENZA
Nelle cerimonie usavano prostitute! E poi c’erano formule magiche,
serpenti, divinità dell’Egitto… Lui si faceva chiamare il Gran Cofto,
credeva di essere Dio in persona, insultava i segni della vera fede. Detestava
con tutte le sue forze il re e la regina di Francia. L’ho sentito io stessa
profetizzare la caduta della Bastiglia in mano al popolo e la caduta del re.
CAGLIOSTRO
Si, io comando agli spiriti
CARDINALE Eresia!
CAGLIOSTRO
Sono stato sopraffatto dai miei nemici. Abbiate pietà di me.
CARDINALE
Qual è il vostro nome?
CAGLIOSTRO
Conte Alessandro di Cagliostro.
CARDINALE
Ci risulta che voi abbiate
nome Giuseppe Balsamo…
CAGLIOSTRO
Nego di essere Balsamo
CARDINALE
… e che siate nato a Palermo nell’anno di grazia 1743.
CAGLIOSTRO
Nego di essere Balsamo.
CARDINALE
Il vostro nome non cambierà
nulla della vostra sorte. Siete accusato di aver compiuto commerci satanici
CAGLIOSTRO
Non è vero….
CARDINALE
…. e delitti contro la religione.
CAGLIOSTRO
Non
è vero… Sono cattolico romano.
CARDINALE
Siete inoltre accusato di
aver pronunciato orribili bestemmie, di aver compiuto orge massoniche
utilizzando prostitute e sangue per brindare
CAGLIOSTRO
Questo è un complotto
LORENZA
Diceva di essere un mago, pretendeva
di conoscere il segreto che trasforma il metallo in oro. Trafficava con i suoi
filtri, intrugli del diavolo… Tutti chiedevano il suo aiuto, lo scongiuravano
in ginocchio. Anche i signori, anche i principi. L’ho visto io coi miei occhi.
Soprattutto le donne lo pregavano. Giovani, vecchie… Sapete che ha fatto? Mi
ha costretto a giacere con altri uomini. Ufficiali, conti, mercanti, persino
cardinali… Diceva che l’adulterio non è peccato in una donna che vi si
presti per interesse e non per amore verso un altro uomo. Sono Tue parole. E non
solo mi ha venduta per i suoi schifosi interessi, mi ha anche trascinato in
bordelli pubblici. Mi ha anche attaccato la sifilide, sono sicura che è stato
lui. Questo mi ha fatto. Porco!
Spero che tu muoia!
CARDINALE
Siete accusato di aver
obbligato numerose donne nubili nonché sposate a cedere alle vostre voglie e di
avere più volte toccato la vostra fantesca. Siete inoltre accusato di turpi
esperimenti di bassa alchimia, tra cui l’assurda pretesa di aver scoperto la
cosiddetta pietra filosofale, di aver pronunciato profezie false e pericolose e
di essere un empirico, ovvero un volgare ciarlatano che pretende di curare i
malati, profittando della loro fiducia. Avete qualcosa da dire in vostra difesa?
CAGLIOSTRO
Ho sempre amato i miei simili. Ho studiato ed esercitato la medicina. Ho
compiuto innumerevoli guarigioni, di cui posso fornire prove e testimonianze.
La mia condotta è stata pura. Non ho mai offeso nessuno, né con la
parola, né con gli scritti, né con le azioni. Il bene che ho fatto, l’ho
fatto in silenzio. Non pretendo di essere glorificato. Ho fatto il bene, perché
ho sentito il dovere di farlo. Empirico! Se empirico è un uomo che possiede
nozioni di medicina e visita gli ammalati senza farsi pagare, ebbene io sono
empirico. Basso Alchimista! Alchimista è esatto, ma la qualifica di ‘basso’
si adatta a coloro che supplicano e strisciano, non a me. Tutti sanno che il
Conte di Cagliostro non ha mai chiesto favori a nessuno. Sognatore della pietra
filosofale… sì, forse sognatore…
CARDINALE
I vostri sogni, come voi li chiamate, vi hanno condotto a profetizzare la
distruzione della monarchia in Francia e la fine del Pontificato.
CAGLIOSTRO
No… Non ho mai detto questo.
CARDINALE
Non solo siete un volgare ciarlatano, ma avete cospirato con la
massoneria a scopi sovversivi. Sappiamo del vostro rito egiziano: diteci del suo
scopo
CAGLIOSTRO
La conoscenza di Dio, la fratellanza umana, la felicità eterna.
CARDINALE
I vostri seguaci portavano alle riunioni prostitute e le onoravano come
vestali! Voi, in veste di Gran Cofto, avete pronunciato omelie in stato di
ebbrezza! Voi avete fatto scempio della religione cattolica! Voi siete un
pericoloso dogmatizzante! Avete fondato la vostra massoneria egiziana, l’avete
propagandata e diffusa per distruggere la vera fede. Voi dovreste essere per
sempre estirpato dal mondo!
CAGLIOSTRO
Pietà… Sono schiacciato dal dolore e dal pentimento e sono pronto, per
riparare le offese a fare qualunque atto che riterrete necessario. In Europa ho
una grandissima quantità, oltre un milione di discepoli gente di lettere e di
merito che solo io potrei allontanare dal sistema da me creato. Io vi abbandono
il mio corpo, perché mi puniscano dei miei crimini, mi basterà salvare
l’anima. Mi raccomando a Vostra
Signoria, che mi ha permesso di riconoscere l’errore nel quale ero incorso e
la miserabile vita vissuta per tanti anni nel buio. Vorrei rimediare al male
arrecato a tante persone e particolarmente a mia moglie, che vive nell’errore
per colpa mia, perché il suo esercizio nella massoneria egiziana proveniva
dalle mie istruzioni e suggestioni.
CARDINALE
Bene, questa è la
vostra confessione. L’imputato è un incredulo, un ateista, una bestia, tenuto
da molti in concetto di impostore, bestiale e furioso. Giuseppe Balsamo,
imputato e reo di un gran numero di delitti, incorso nelle pene previste contro
gli eretici formali, i sostenitori di dogmi, gli eresiarchi, i maestri e i
discepoli della magia superstiziosa, cade sotto le censure e pene stabilite
dalle leggi apostoliche contro tali crimini. Tuttavia, per grazia speciale, la
pena che consegna il colpevole alla morte è commutata in carcere perpetuo, da
scontare in fortezza, senza speranza di grazia.
CAGLIOSTRO
Vedo il deserto sterminato, le palme gigantesche proiettare le loro ombre
sulla sabbia, il Nilo scorrere placido, le sfingi, gli obelischi, le colonne
alzarsi maestose. Vedo le mura meravigliose, i templi folti, le slanciate
piramidi, i labirinti…
GUIDA:
(davanti angelo)Con Cagliostro
siamo nel ‘700- alle soglie della Rivoluzione Francese, dopo la scoperta di
nuovi mondi, dopo la rivoluzione copernicana, ben dopo il processo a Galileo.
Eppure la Chiesa ancora considera un insulto il termine di “empirico”
riunendo con una sola parola la bassa alchimia ma anche
i primi tentativi di ricerca scientifica. Per lunghi secoli la chiesa ha
guardato con diffidenza e sospetto coloro che mostravano troppa dimestichezza
con la materia e pensavano di modificarla.
Ed ha a lungo rifiutato la memoria del mondo antico, in quanto pagano.
Questo atteggiamento per cui tutto deve rimanere fisso e immutabile, dalle idee
religiose, ai ruoli sociali, alle strutture economiche, trova le sue radici nel
periodo che è passato alla storia come “l’età oscura”, “i secoli
bui”: il Medioevo. E proprio a Castel Sant’Agelo, dietro quella grata, verso
la fine del IX secolo, si celebrò quello strano processo che contribuì non
poco a gettare una luce tórbida e grottesca su quel periodo. Il processo in questione è
contro papa Formoso, colpevole di aver nominato due imperatori
contemporaneamente, forse per paura. La cosa strana non è che si processi un
papa, quanto il fatto è che il papa Formoso seduto al banco degli imputati e
vestito di tutti i suoi paramenti al momento del processo è già bello che
defunto. Un povero diacono siede accanto al cadavere appositamente riesumato per
“dar voce al morto”. E con un’esemplare condanna al defunto pontefice
vengono amputate tre dita della mano destra e il corpo gettato nel Tevere.
Questo è la rigidità del Medioevo: la legge è legge immutabile, e dev’essere
applicata. Poco importa che l’imputato sia vivo o morto. E tuttavia un altro
pensiero, più vicino all’idea dell’imperatore Adriano, un pensiero che vede
materia e spirito in armonia e in divenire, deve necessariamente essere
sopravvissuto, deve aver continuato a respirare portando fino a noi la memoria
del mondo antico: non ci spiegheremmo altrimenti i secoli successivi e i nostri
stessi giorni. Il mondo occidentale ha superato il Medio Evo, lo ha lasciato
dietro quella grata, nella sala in cui avvenne il processo contro Papa Formoso,
per andare incontro al Rinascimento, quel periodo luminoso in cui spirito e
materia tornano ad essere in armonia e l’ anima e il corpo
tornano ad essere l’una pe l’altro, non più l’una contro
l’altro. Nel Rinascimento si
ricomincia a guardare il mondo antico con curiosità, se ne studia e imita
l’arte, il corpo umano torna ad essere soggetto di pittura e scultura. (salendo
sugli spalti) E a Firenze la famiglia dei Medici fa tradurre Platone e
Pitagora. Si affermano uomini dall’ingegno molteplice, personaggi eclettici,
come Marsilio Ficino, Paracelso, Pico della Mirandola. E’
l’Umanesimo, il tempo del nuovo amore per l’Uomo, per la Natura e per
l’Antico che prorompe nell’Arte. Ed ecco Raffaello, ecco Michelangelo…PASSA CELLINI... Ecco Raffaello, ecco Michelangelo, ed ecco
le figure di nudi che possono stare nella cappella Sistina senza destare
scandalo.
CELLINI
Fate passare! Permesso, permesso! Signori! Scusatemi se poc’anzi vi ho
cagionato un certo spavento! Mi presento: mi chiamo Cellini Benvenuto, orafo e
gioielliere. Son carcerato qua, ma ora me ne fuggo. Non son mica un fesso, io me
ne vo’ da qui. Prima però voglio raccontarvi com’è andata che mi misero
qui nel castello. La prima volta fu colpa di quel traditore del mio lavorante
perugino, un cornuto, che profittò dell’avarizia di Papa Paolo da Farnese, ma
ancor più del suo bastardo figlio, il Pierluigi. Il mio lavorante fece
intendere che sapeva tutte le mie faccende e che io avevo ottantamila ducati, la
maggior parte in gioie, le qual gioie erano della Chiesa e che io le avevo
rubate nel tempo del sacco di Roma, qui nel Castel Sant’Agniolo. Arrivò la
sbirreria e mi disse: “Tu se’ prigioniero del Papa e ti abbiamo a menare in
Castel Sant’Agniolo”. Questa fu la prima volta che mai io gustai prigione.
In capo a otto giorni mi mandarono a esaminare e tra gli esaminatori c’era
quel becco del governatore di Roma. Cominciò a cicalare: “Noi sappiamo
certissimo che tu eri a Roma in tempo del Sacco e in questo tempo tu ti trovasti
in questo Castel Sant’Agniolo e perché l’arte tua è orefice e gioielliere,
Papa Clemente ti chiamò e ti fece sciogliere tutte le gioie sue e tu ne
serbarti per te di nascosto per il valore di ottantamila scudi. Questo ce l’ha
detto un tuo lavorante con il quale tu ti se’ confidato e vantatone.” Quando
io sentii queste parole, io non mi possetti tenere di muovere a grandissime
risa. Poi dissi: “Sappiate, signori, che sono in circa venti anni che io abito
Roma e mai né qui né altrove fui carcerato.” A queste parole quel birro del
Governatore disse: “Tu ci hai pure ammazzati degli uomini.” E io: “Voi lo
dite, e non io. Ma se putacaso venisse uno per ammazzar voi, voi vi difendereste
e lo ammazzereste. E io non dovrei difendersi da un tanto scellerato
assassinamento?” Tu, garzone! sei d’accordo con codesta considerazione? Quanto alle gioie… è
una storia lunga. Sappiate che la mia difesa fu pari al mio ingegno, che è
portentoso. Eppure, cosa incredibilissima, mi lasciarono in prigionia nel
Castello. Quando io viddi che non v’era altro rimedio, io dissi a li presenti:
“serratemi bene e guardatemi bene, perché io mi fuggirò a ogni modo.” Così
mi menorno e chiusonmi con maravigliosa diligenza. Allora io comincia a pensare
il modo che io avevo a tenere per fuggirmi. Lavorando di ingegno e di maestria
delle mane, presi delle mie lenzuola e ne feci istrisce, l’accomandai a un
pezzo di tegola antica, murata i nel mastio e voltatomi a Dio dissi: “Signore
Idio, aiuta la mia ragione, perché io l’ho, come Tu sai, e perché io mi
aiuto.” Lasciatomi andare pian piano, sostenutomi per forza di braccia,
arrivai presso a terra: per la quale, avendo aperto le mane per saltare, oppure
eran le mani istracche, non potendo resister a quella fatica, io caddi e in
questo cadere mio percossi la memoria e stetti isvenuto per più di un’ora e
mezzo. Di poi mi ritornorno le forze e mi avvidi che io ero fuora del castello.
Volendomi rizzare di terra, mi trovai tronca la mia gamba. Né anche questo mi
sbigottì: carpone andai cinquecento passi dentro in Roma dove certi cani
mastini mi si gittorno addosso e malamente mi morsono. Io tirai con il mio
pugnale, li punsi gagliardamente e carpone me ne andai libero. Voi vi
dimanderete perché son qui un’altra volta. La conterò breve
GUIDA: Benvenuto Cellini era a Roma in quel fatidico maggio
del 1527, l’anno del Sacco, e combattè proprio dagli spalti di Castel
S.Angelo. Con due compagni uccise a colpi d’archibugio il Conestabile di
Borbone che assediava Borgo, dopo aver messo a ferro e fuoco il rione di
Trastevere. Fu un evento funestissimo, il Sacco di Roma, che spaccò
letteralmente in due il corso della storia.
(davanti alla
Paolina)
C’erano già nel nord Europa quei primi fermenti di
“protesta” contro la Chiesa di Roma, giudicata lussuosa, sfarzosa e poco
spirituale. L’imperatore Carlo V aveva seguito una rotta ora in favore del
Papa, ora in favore di Lutero, a seconda delle convenienze politiche. E in quel
1527 volle, con un gesto clamoroso - la presa di Roma- umiliare la corrotta e
mondana Corte papale di Clemente VII Medici e dare alla città e all’Italia
tutta una lezione di esemplare durezza. Non gli fu difficile dato il clima
riunire i Lanzichenecchi e bande di mercenari e farli scendere in Italia.
Calarono per tutta la penisola e giunsero quasi indisturbati
fino a Roma.
Pioveva quel 6 maggio del 1527. La nebbia del mattino
rese impotente l’artiglieria del Castello. La città fu presa completamente
alla sprovvista, nessuno poteva credere che avrebbero osato tanto.I nemici
arrivarono alle porte di S. Pietro. Il papa pregava nella sua cappella,
come si trovò a dire Cellini “ non possendo credere che coloro
entrassino”. Ma siccome “coloro entravano” il Papa non potè far altro che
avvolgersi nel manto violetto di un vescovo e fuggire attraverso il
provvidenziale “passetto” fino a Castel S.Angelo. Con lui, quasi tremila
persone si rifugiarono qui: vescovi, cardinali, prelati, ambasciatori, ... la
Corte Papale al gran completo. E da qui assistettero impotenti all’inferno che
si scatenava fuori. I Lanzichenecchi e i mercenari assetati di bottino
saccheggiarono, incendiarono, depredarono, stuprarono, ammazzarono. Raffaello da
Montelupo, lo scultore dell’angelo nel cortile che abbiamo appena
attraversato, ebbe a dire: “Eravamo
là e guardavamo tutto ciò come se assistessimo ad una festa”.
Passò anche
il Sacco di Roma. E ci fu un pontefice che ebbe il compito, che svolse peraltro
molto bene, di far dimenticare questa triste pagina alla città. Il pontefice fu
Paolo III Farnese. E questa è la sua sala delle udienze. (Entrare Sala Paolina)
GUIDA:
(nella sala Paolina)
E infine, i due simboli del Castello: l’imperatore
Adriano, il costruttore pagano, e il cristianissimo Arcangelo Michele. Proprio
sotto al dipinto dell’arcangelo che ripone la spada sedeva Paolo III quando
dava udienza e offriva così ai visitatori un’immagine che esprimeva pace e
riconciliazione. Era evidente che gli orrori del Sacco erano superati, si apriva
finalmente una nuova epoca.
MARCELLO Sono l’uomo più felice di questa terra! Ti sono infinitamente grato. Troverò il modo di ripagarti dell’immenso favore che mi hai reso Sono così felice! Non voglio intorno a me altro che felicità…Mi fa rabbia pensare che una donna della sua bellezza abbia un marito che le preferisce altre donne
DIANA La duchessa mi ripagherà.
MARCELLO Cosa intendi?
DIANA Sono sicura che Don Carlo, suo cognato, possa favorire il mio matrimonio con l’uomo che il destino mi ha fatto incontrare. Solo questo mi importa.
MARCELLO Ti auguro sinceramente che il tuo sogno si esaudisca, così come è stato esaudito il mio. Tutti i sogni andrebbero esauditi…
DIANA Mia Signora!
MARCELLO Mia Signora!
VIOLANTE Sono così confusa e… non so se piangere o ridere. Tra pochi mesi darò alla luce un figlio, il figlio del mio sposo, del mio signore eppure…
DIANA Eppure?
VIOLANTE Eppure i miei sogni sono stati rapiti da un altro uomo.
DIANA Da tempo mi sono accorta di come vi guardava, il cavaliere Capece
VIOLANTE Non so cosa fare…e se si venisse a sapere?
DIANA Seguite il vostro cuore e non abbiate paura. Io veglierò su d voi.
VIOLANTE Amica mia…
DIANA Ho solo una richiesta da farvi.
VIOLANTE Dimmi, farei qualunque cosa per te.
DIANA Ora che anche voi conoscete le pene dell’amore, io vi prego di chiedere a vostro cognato, il Cardinale Carlo Carafa, di mettere una parola buona per me. Il Cardinale è uomo assai potente e potrebbe…
VIOLANTE Vorresti che lui usasse la sua influenza per farti sposare il tuo gentiluomo, capisco bene?
DIANA Sì, mia signora. Se il Cardinale potesse …
VIOLANTE Non dire altro. Ti prometto EFFETTO MUSICA dall'ouverture de "La Forza del Destino" di G. Verdi (sottofondo delicatissimo) che farò quanto in mio potere perché tu ti unisca in giuste nozze all’uomo che tanto ami.
DIANA Vi ringrazio infinitamente mia signora.
VIOLANTE Sai una cosa? Per la prima volta da tanto tempo sono felice.
Alzare la musica
GUIDA: Eh, già, a Paolo III Farnese succederà Paolo IV
Carafa, uomo rigidissimo ed austero, già anziano quando viene eletto. Come è
d’uso, demanda ai suoi parenti più stretti l’esercizio del potere
temporale, e in particolare ai suoi nipoti. Suo nipote Carlo, cardinale, è
primo ministro e dispone delle volontà di suo zio. Giovanni, duca di Palliano
diviene comandante dell’esercito pontificio. Don Giovanni è marito
infedelissimo della bella duchessa Violante, che, mentre attende un figlio da
lui, fa scoccare la scintilla dell’amore nel cuore del cavaliere Marcello
Capece e commette l’imprudenza di confidarsi con la sua dama di compagnia,
Diana Brancaccio, donna dai sentimenti esaltati, dedita a tessere quegli
intrighi che coloravano di passione accesa le corti italiane del sedicesimo
secolo. Né più né meno come i soffitti e le pareti decorate coloravano la
vita nei saloni rinascimentali. L’amore per il bello era ormai arrivato al
culmine, e se ne vedevano i segni dappertutto. Lo studio dell’arte antica era
cominciato in certi casi in modo avventuroso. Fino dal 1480 parecchi artisti
avevano avuto modo di calarsi in certe curiose “grotte” di cui erano
visibili i soffitti affrescati in uno stile che oggi definiremmo
“pompeiano”. Quelle “grotte” non erano altro che i soffitti della Domus
Aurea, in gran parte interrata. Avevano osservato e imitato le pitture delle
“grotte” e le avevano chiamate “grottesche”. E con le grottesche Paolo
III aveva fatto decorare il corridoio e la Sala della Biblioteca. La residenza
del Papa era tornata ad essere una dimora principesca. (cenno
al pubblico di muoversi)
Ma
dopo Paolo III Farnese, con Paolo IV Carafa, su questa gioia decorativa cominciò
a proiettarsi l’ombra cupa della Controriforma. E la storia non raccontò più
di festini, banchetti, spettacoli e
balli, di fosche trame familiari e di feroci lotte per il potere. Di una vicenda così furono protagonisti i nipoti
di Paolo IV, i fratelli Carafa.
SCENA
CARAFA II
(Sala della Biblioteca)
GIOVANNI (ALESSIO) : Carlo, ho ricevuto il tuo messaggio. Sono arrivato prima che mi fosse possibile (abbraccio) . Cosa volevi dirmi? (si allontana)
CARLO (MASSIMO L.) : Mi sono giunte notizie di nostro zio, il papa.
GIOVANNI (ALESSIO) Allora? Cosa dice?
CARLO(MASSIMO L.) E’ ancora in collera con noi, ma pare si stia lentamente… ammorbidendo.
GIOVANNI (ALESSIO) Nostro zio è vecchio, Carlo, non c’è molto tempo. Il nostro peggior nemico, il re di Spagna, aspetta solo l’occasione per vendicarsi dei Carafa.
CARLO (MASSIMO L.) L’importante ora è evitare qualunque comportamento sconveniente. Nessuna macchia deve adombrare il nostro nome A nostro zio devono arrivare solamente notizie del nostro umile pentimento e della nostra rettitudine.
GIOVANNI(ALESSIO) Spero che tu abbia ragione.
CARLO (MASSIMO L.) Tutto si sistemerà, stanne certo. A proposito, tua moglie mi ha chiesto di favorire il matrimonio tra la sua dama prediletta, Diana Brancaccio, e un gentiluomo al seguito del Marchese di Montebello.
GIOVANNI (ALESSIO) Non ne sapevo nulla…
CARLO (MASSIMO L.) Strano. Questa Diana deve avere un temperamento alquanto focoso. Voleva quel gentiluomo ad ogni costo. Ma io non ho né il tempo, né la voglia di occuparmi di simili sciocchezze. E poi mi dicono che questo gentiluomo, a cui lei ha già stupidamente ceduto, sia fuggito con un’altra donna. Si sarà spaventato dell’ardore di quell’indemoniata e avrà pensato bene di sparire. Pare che lei sia impazzita e non faccia che meditare vendetta. Mi diverte questa storia…
GIOVANNI (ALESSIO) Non capisco perché Violante non me ne abbia parlato di persona.
CARLO (MASSIMO L.) Che vuoi … storie di donne… (entra Diana)
GIOVANNI (ALESSIO) Diana! Cosa fai qui? E’ successo qualcosa a mia moglie?
DIANA Mi hanno detto che vi avrei trovato dal Cardinale vostro fratello.
GIOVANNI (ALESSIO) Ma che succede? Parla!
DIANA Vostra moglie vi tradisce.
CARLO (MASSIMO L.) Cosa?
DIANA Ora, in questo momento, è tra le braccia di un altro uomo.
GIOVANNI (ALESSIO) Che dici? Sei impazzita! No, non ti credo!
CARLO (MASSIMO L.) Chi è lui?
DIANA Il Cavaliere Marcello Capece
GIOVANNI (ALESSIO) Non credo ad una sola parola di quello che dice questa pazza. Cos’è, invidia? O una qualche delusione ti ha resa folle?
DIANA (attaccati) Venite con me, vedrete coi vostri occhi.
GIOVANNI (ALESSIO) Mi rifiuto di seguirti in queste farneticazioni. Vattene!
DIANA (staccati) E' così vi dico. (lo afferra per i capelli, abbassare Alessio) Aveva promesso di aiutarmi e non l'ha fatto. Io ho perso tutto e perderà tutto anche lei. Venite a vedere. Giacciono uno fra le braccia dell’altro, lui le recita versi d’amore, lei lo accarezza dolcemente, li ho visti e li ho sentiti.
GIOVANNI (ALESSIO) Maledetta bugiarda! (Attaccati. Urlo Daniela. Pugnalata)
CARLO (MASSIMO L.) Andiamo.
GIOVANNI (ALESSIO) Cosa? Sei impazzito anche tu?
CARLO (MASSIMO L.)
Ho
detto andiamo.
spostamento
nel Cortile della catapulta
SCENA
CARAFA III
(Cortile della Catapulta)
MARCELLO Da molto tempo vi amo più della mia stessa vita. Se, con troppa impudenza ho osato guardare da innamorato le vostre divine bellezze, non dovete farne una colpa a me, bensì alla forza sovrannaturale che mi spinge e mi agita. Sono alla tortura, ardo d’amore… Non chiedo sollievo per la fiamma che mi consuma, ma solo che la vostra generosità abbia pietà di me.
VIOLANTE Mio amore…
MARCELLO Piccolo sole…perché non vieni via con me?
VIOLANTE Non posso.
MARCELLO Perché?
VIOLANTE Aspetto un figlio suo.
MARCELLO E con questo? Lui non ti merita, ti ha tradito, non sa quanto vali, non…
VIOLANTE Lui mi ama.
MARCELLO E quello lo chiami amore?
VIOLANTE Ognuno ama nel suo modo.
MARCELLO Ma tu lo ami? (Claudia si alza) Vedi, non lo ami? Vieni via con me, andremo lontano dove nessuno può raggiungerci. Potremmo andare in Spagna, il re ci darebbe sicuramente asilo. Lui odia i Carafa, saremmo al sicuro e io mi occuperei di te e di tuo figlio.
VIOLANTE E’ anche suo figlio.
MARCELLO Non importa! Io voglio te. Tu non sai, non puoi immaginare quello che io…
VIOLANTE Giovanni…
MARCELLO Duca, vi scongiuro, lasciatemi spiegare.
GIOVANNI (ALESSIO) Non c’è niente da spiegare.
CARLO (MASSIMO L.) Aspetta. Firma questo. Servirà da giustificazione per nostro zio.
VIOLANTE Non firmare niente, è la tua condanna.
MARCELLO Firmerò tutto quello che volete, ma vi prego, non fateci morire.
CARLO (MASSIMO L.) Ora lei.
VIOLANTE Ti prego… aspetta almeno che nasca il bambino… (Strangolamento)
SERVITORE (MASSIMO T.) Don Carlo, don Giovanni!
CARLO (MASSIMO L.) Di’ quello che devi dire e fa’ presto.
SERVITORE (MASSIMO T.) Papa Paolo IV, vostro zio, è morto improvvisamente. E non è tutto! Il conclave ha nominato Papa Giovan Angelo de’ Medici, appoggiato dalla Spagna e buon amico del re Filippo.
CARLO (MASSIMO L.) E’ la fine.
GIOVANNI (ALESSIO) Sì, è la fine.
CARLO (MASSIMO L.) Si vendicheranno. Gli ci vorrà un pretesto.
GIOVANNI (ALESSIO) Eccolo il pretesto.
CARLO (MASSIMO L.) E’ assurdo! Nessuno è mai stato processato o condannato per un delitto d’onore!
GIOVANNI (ALESSIO) Sai meglio di me quanto spesso le regole trovano le loro eccezioni…
CARLO (MASSIMO L.) Ho ancora amici influenti, ostili al re di Spagna. Io resto al mio posto, ma potrei procurarti un rifugio sicuro…
GIOVANNI (ALESSIO) No.
CARLO (MASSIMO L.) Bene, allora…che vengano pure a prenderci. Aspetteremo.
GUIDA:
Chi di corda
ferisce, di corda perisce... E il cardinale Carlo Carafa finirà i suoi giorni
nelle segrete del castello, strangolato per sentenza con una corda, è vero di
seta, ma pur sempre di corda si trattò. Paolo IV Carafa non resta nella storia
per le azioni dei nipoti, ma per le sue. Il suo nome rimane tristemente legato
alle manifestazioni più evidenti dell’intolleranza cattolica. Paolo IV viene
ricordato per il Santo Uffizio, il tribunale della Santa Romana ed Universale
Inquisizione, per il Concilio di Trento, ricordato come il Concilio della
Controriforma, e per l’ordine dei
Gesuiti. Non era stato lui a fondare o promuovere queste istituzioni, era stato
Paolo III Farnese. Ma con ben altro spirito. Il Concilio di Trento viene
promosso da Paolo III proprio per “conciliare” il dissenso che si stava
manifestando nel nord dell' Europa, per far
rimarginare la ferita che si stava aprendo tra quei cristiani e la chiesa di
Roma. Ma Paolo IV Carafa, ancora cardinale, lavora al suo interno mosso da puro
fanatismo religioso. Paolo III sospende il Concilio nel 1549. Quando lo riapre
Pio IV dal 1562 al 1563, ormai i lavori sono giunti ad un punto tale che si
assiste allo Scisma religioso d’Occidente. La chiesa che protesta diviene la
Chiesa protestante, con le numerose confessioni ancora oggi esistenti. Paolo IV
aveva operato anche all’interno dell’Inquisizione, era stato attivo nel
compilare l’“Index librorum Prohibitorum”. L’Indice dei libri proibiti,
e quando diviene papa fa torturare e gettare in carcere i baroni e i cardinali
che lo hanno aiutato a stilare l’indice, perché dubita della sincerità della
loro fede. E’ ancora Paolo IV Carafa a chiudere in un ghetto coloro che
professano la fede giudaica, ed è lui a dare al Santo Uffizio, il tribunale
dell’Inquisizione, il famigerato diritto del “rigoroso esame”, ovvero il
diritto di tortura… Quando muore a Roma si scatena un vero e proprio fenomeno
di isteria collettiva: la sua statua in Campidoglio viene distrutta e la testa
marmorea staccata e fatta rotolare fino al Tevere, l’edificio
dell’Inquisizione è dato alle fiamme…ed il cadavere dello stesso pontefice
deve essere sepolto in gran segreto per sottrarre il corpo alla furia della
folla inferocita.
Questo cortile è stato teatro dei più diversi
spettacoli. Intanto, è stato teatro: sì, agli inizi del 500, durante gli
splendidi fasti della Corte Medicea di Clemente VII qui si faceva spettacolo.
Ora viene anche chiamato “Cortile della Catapulta”. Ma non è una catapulta:
è una balista, o balestra gigante. Ed è una ricostruzione dei primi del
‘900. Le palle, ricostruite dal Borghetti, generale dell’Esercito Italiano,
alla fine dell’800, secondo i pesi indicati nelle iscrizioni lungo le mura,
non potevano essere lanciate con quest’arma; con la balestra si lanciavano
dardi metallici muniti di punteruolo adatto a forare le armature. Non ha una
buona mira, in genere si teneva all’ingresso dei castelli per impedire la fuga
dei prigionieri. Già, i prigionieri. Castel Sant’Angelo è stato prigione,
quasi in ogni sua parte. E teatro di esecuzioni, con molte cappelle destinate al
conforto dei condannati, dato che la pena di morte è andata avanti fin sotto
Pio IX, fino al 1870. E dunque, Cortile del Teatro, Cortile della Catapulta, ma
anche Cortile delle Prigioni. E quelle finestre, che paiono di graziosi
miniappartamenti, protette dalle opportune sbarre, erano celle. Celle di
“prima classe”, riservate al soggiorno forzato di personaggi illustri.
Invece i prigionieri senza titoli nobiliari finivano là sotto, nelle cosiddette
“prigioni storiche”, anguste, umide e buie. Ci venivano rinchiusi e talvolta
dimenticati. In quella vicino alla fontana fu rinchiuso Benvenuto Cellini.
(nella loggia
di Paolo III: Incontro Cellini. II
SCENA CELLINI)
GUIDA:
(Cortile dell’angelo)
Ah, già... Gli angeli. A Castel S.Angelo non si possono dimenticare gli
angeli... Furono 6 le statue che si
contesero il “posto d’onore”. Il primo angelo era in legno, e s’incendiò.
Il secondo, di marmo, cadde in
mille pezzi, il terzo, di marmo con le ali di bronzo, “spiccò il volo”
quando un fulmine colpì la camera sottostante, adibita a polveriera. Il quarto,
completamente di bronzo, venne fuso per farne delle armi contro i Lanzichenecchi
di Carlo V. E il quinto, quello scolpito da Raffaello da Montelupo, eccolo qui,
costretto a vedere Roma appena sopra le mura del cortile e a cedere il passo al
sesto angelo, quello che ora sta al posto d’onore. Questo angelo era già lì
quando arrivarono a Roma i francesi di Napoleone Bonaparte. E i francesi
pensarono bene di dipingerlo di blu, bianco e rosso, poi gli misero in testa un
berretto frigio e lo proclamarono “il Genio della Francia liberatrice di
Roma”. Altre cose fecero qui i
francesi. Tra l’altro provvidero a portarsi via certe “cosucce” artistiche
che oggi fanno bella mostra di sé nei musei d’oltralpe. Insomma, rubavano.
Tanto che su Pasquino apparve la famosa “pasquinata” che terminava
pressappoco così: “No, non è vero che tutti i francesi so’ ladri. No.
Tutti, no. Bona parte...” Ah. Non abbiamo ancora detto perché si chiama
Castel S. Angelo... ne parliamo una volta scese le scale.
GUIDA:
(dopo la prima rampa) La
leggenda narra un episodio avvenuto nel 590. Era da poco stato eletto papa
Gregorio Magno, un papa eletto non solo dal conclave, ma quasi a furor di
popolo, poiché lo si riteneva uomo in odore di santità. E in effetti divenne
San Gregorio Magno. Da poco eletto il papa, scoppiò a Roma una pestilenza che
mieteva vittime tra la popolazione. Il papa fece intensificare le veglie di
preghiera e le processioni. E tornava appunto un giorno in processione, quando,
circa a metà del ponte Elio, al papa e al popolo che lo seguiva apparve, sulla
torre del castello, luminosissimo, l’arcangelo Michele nell’atto di
asciugare la spada insanguinata e di riporla nel fodero. Segno, questo, che
l’ira divina era cessata e che la
pestilenza stava per finire. Da quel giorno il ponte Elio prese il nome di ponte
Sant’Angelo, e la tomba di Adriano prese il nome che portò per da allora per
sempre e che porta splendidamente ancora oggi, Castel Sant’Angelo. (scendere)
Sembra che stiano conducendo una giovane prigioniera.
Chi ritiene di potersi sedere potrà accomodarsi sui gradini...
GIUDICE:
Beatrice Cenci…
BEATRICE:
Chi siete?
GIUDICE:
Il tuo giudice. Papa Clemente mi ha mandato a interrogarti.
BEATRICE:
Nessun giudice potrà restituirmi l’anima.
GIUDICE:
Non è questo il mio compito. Io sono qui per vicende ben più terrene.
Solo questo mi interessa, la tua anima non mi riguarda.
BEATRICE:
Qualunque cosa accada ormai non ha più importanza. Tutto è perduto.
GIUDICE:
Meglio così, perché quello che sto per dirti non sarà piacevole per
te, ma tu non meriti di meglio.
BEATRICE:
Non capisco di cosa parlate.
GIUDICE:
Tua madre e i tuoi fratelli hanno confessato. Non hai niente da dire? I
tuoi fratelli sono stati messi sotto tortura e presto lo sarai anche tu. Subirai
i tormenti della corda, verrai sospesa per i capelli: sappi che è una
sofferenza atroce. Tua madre mi ha personalmente chiesto di dirti di parlare.
Queste sono state le sue parole: “Quando il peccato è commesso, è tempo di
pensare alla penitenza e non di lasciarsi straziare il corpo per ostinazione. Il
tuo complice amante è fuggito. Non ti ha nemmeno portata con sé. Poteva
salvarti e non l’ha fatto. Ormai sei sola. C’è ancora un’unica possibilità:
che al tuo fratello minore venga concessa la grazia.
BEATRICE:
Lui non c’entra.
GIUDICE:
Ha solo quindici anni, no? Parla e vedrò quel che posso fare. Parla!
BEATRICE: La mia unica colpa è di essere nata! Io non ho scelto la mia nascita! Io sono come morta e la mia anima, che si accanisce a vivere, non riesce a liberarsi. Mio padre-mi ha-profanata. Qui, sotto i nostri piedi, si raccolgono le forze di un mondo pronto a spazzare via ogni cosa. Un mondo di cose orribili, di accoppiamenti mostruosi, di strane confusioni che… Quando ero bambina, ogni notte facevo lo stesso sogno. Sono nuda in una stanza immensa e una bestia respira, respira, non smette di respirare. Mi accorgo che il mio corpo splende. Vorrei fuggire, ma devo nascondere il mio corpo nudo. Si apre allora una porta. E all’improvviso, scopro di non essere sola. No! Insieme con la bestia che mi respira a fianco, sembra che altre cose respirino; e d’un tratto vedo brulicare ai miei piedi un ammasso di cose immonde. E anch’esse sono affamate. Comincio a correre senza fermarmi per cercare di ritrovare la luce. La bestia, che incalza, mi insegue di grotta in grotta, me la sento addosso, ha fame, tanta fame... Quando io mi rifiutavo, lui mi riempiva di colpi. Mi diceva che quando un padre conosce… carnalmente la propria figlia, i bambini che nascono sono dei santi, e che tutti i santi più grandi sono nati in questo modo, cioè che il loro nonno è stato loro padre. Ma io a questo non credo. A volte mi conduceva nel letto di mia madre, perché lei vedesse alla luce della lampada quello che mi faceva. Non potevo più vivere così. Mi confidai con Monsignor Guerra, che mi amava di vero amore…
GIUDICE:
E’ fuggito da Roma vestito da carbonaio. E’ questo il vero amore?
BEATRICE: Parlai con mio
fratello maggiore, perché era mio dovere metterlo a conoscenza. Mio padre
odiava tutti i suoi figli…
GIUDICE:
Baste con queste chiacchiere! Parlami di quella notte!
BEATRICE:
Io e mia madre demmo a mio padre dell’oppio, per addormentarlo. Poi
arrivarono due uomini che noi avevamo pagato per…
GIUDICE:
Sappiamo chi sono, vai avanti.
BEATRICE:
Li conducemmo nella stanza di mio padre che dormiva e li lasciammo. Ma
loro poco dopo uscirono, non avevano il coraggio, erano presi da pietà…
dissero che era una azione bassa e ignobile. Così dissero.
(in un crescendo di rabbia e fierezza) “Voi non avete il coraggio! Ed è
per arrivare a questo punto che osate prendere del denaro! E bene! Poiché la
vostra vigliaccheria lo richiede, lo farò io stessa!” Allora rientrarono
nella stanza e questa volta io e mia madre li seguimmo. Uno di loro aveva un
grosso chiodo che pose in verticale sull’occhio di mio padre; l’altro con un
martello gli fece entrare il chiodo nella testa. Poi, nello stesso modo, gli
piantarono un altro chiodo nella gola. Il corpo di mio padre tremava tutto. “Questo
è per la tua fame!” Quanto sangue usciva…Strano che un corpo
mostruoso possa tenere tutto quel sangue…Quando i due assassini se ne furono
andati, io e mia madre tirammo fuori il chiodo dalla testa e il chiodo dalla
gola, avvolgemmo il corpo in un lenzuolo e lo gettammo in un giardino. Tutto è
consumato. Io non rimpiango nulla. Ho fatto ciò che dovevo fare.
GIUDICE:
Hai commesso un delitto orribile.
BEATRICE:
Ho scelto la giustizia da me stessa.
GIUDICE: Che Dio abbia pietà di te. Domani tu, tua madre e tuo fratello verrete condotti a morte. Quanto al fratello minore, vedremo di procurargli la grazia.
BEATRICE:
Com’è possibile, ah, Dio!
che così giovane io debba morire!
GIUDICE:
Potevi pensarci quando eri ancora in tempo. Ora preparati alla morte.
BEATRICE: Urla interminabili mi inseguiranno. Non
voglio morire…Chi mi potrà garantire che laggiù non ritroverò mio padre!
GUIDA: Era l’11 settembre 1599, esattamente 400 anni fa. C’erano stati alcuni delitti nell’ambito di certe nobili famiglie . Con Beatrice Cenci si volle punire quella che il papa temeva diventasse una pericolosa consuetudine. Appena ventiduenne, fu decapitata sopra ponte Sant’Angelo. I frati cappuccini pietosamente e di nascosto ne raccolsero il copro e lo portarono in San Pietro in Montorio, dove i popolani di Roma la vegliarono e dove fu sepolta. (ingresso rampa) Oltre questa soglia c’è una parte del castello che è rimasta pressoché identica a come l’aveva voluta l’imperatore Adriano. E’ la rampa elicoidale, per la quale i cortei funebri salivano per raggiungere le camere sepolcrali situate nella torre, al di là della porta. Fu scoperta relativamente tardi e non fu modificata. E’ molto semplice e spoglia, serviva in fondo solo a far passare i cortei. Resta qualche traccia del semplice mosaico a tessere bianche che ne pavimentava il fondo.
(Discesa per la rampa elicoidale)
GUIDA: (atrio)
Eccoci
all’uscita. Che però un tempo era l’entrata. Qui si formavano i cortei che
poi salivano per la rampa. Ecco una ricostruzione della tomba di Adriano così
come l’imperatore l’aveva voluta, in sezione: mancano i bastioni e sono
visibili le camere sepolcrali nella torre. In quella teca, lo stesso, vista
dall’esterno, con la vegetazione e il gruppo bronzeo dell’imperatore alla
guida del carro del sole, come solevano farsi rappresentare gli imperatori.
Nella nicchia c’era la statua di Adriano. Ma qui vediamo anche altre tracce
del passaggio dei secoli. Quell’apertura, protetta dalla grata, era per
l’ascensore, e risale al 1700. Permetteva al pontefice di raggiungere
comodamente gli appartamenti ai piani superiori, e difatti porta direttamente
nella sala dell’Apollo. E qui sarebbero finiti gli ipotetici assaltatori
precipitati nello strapiombo a metà della cordonata. Ma ci sarebbero arrivati
da quella botola lassù, facendo un volo di dodici metri, non proprio un volo
d’angelo... Noi ci siamo arrivati per la rampa elicoidale, mi auguro in un
modo... più morbido e confortevole...
SCENA CELLINI III
CELLINI
Un momento Signori! Voi vi dimanderete perché sono qui un'altra volta. Rifugiatomi nel palazzo del Duca di Farnese, quivi incontrai il Cardinal Cornaro che pria mi fé curare e di poi andò dal Papa a chiedere la grazia per me e un vescovado per un suo gentiluomo. Il Papa stava gonfiato e ingrognato, non parlava nulla e alla fine disse: “Io voglio Benvenuto e Voi il vescovado, e ognun abbia quel che vuole.” Voi non crederete, e io istesso fò fatica a crederci, ma quel tristo del Cardinale e quel becco del Duca mi vendorno. Or dico: salvatemi! Oh me infelicissimo. Morirò, sì, morirò in questo tristo mastio. E il mondo intero, ma che dico il mondo, l'universo con tutti li pianeti sarà orbo di un maraviglioso artista! Ma io me ne fuggirò di qui, becchi che non siete altro! Torturatemi, appendetemi alla corda, cavatemi le ugne, mozzatemi le mane, serratemi a doppia mandata: me ne fuggirò ad ogni modo!
Attacco
forte
Beatissimo
Padre, Maravigliosa e Sublimissima Eccellenza…
FINE